Peste suina, primo caso nel savonese: "Emergenza senza fine, situazione intollerabile"

Il primo caso di PSA in provincia di Savona e il riaffiorare di altri casi in Appennino, ci riporta in maniera dirompente alla preoccupazione per una epidemia mai sopita per la quale le azioni intraprese fino ad oggi si confermano deboli ed inadeguate. nessuna azione concreta di depopolamento, una recinzione di dubbia utilità, con una spesa davvero imponente e non ancora terminata,

I cinghiali, ormai decine di migliaia, non subiscono nessun tipo di pressione o prelievo venatorio, la caccia non è praticata e nemmeno l'attività di controllo; questi animali simbolo del degrado ambientale del nostro territorio si stanno moltiplicando come moderne locuste senza lasciare nessuna possibilità agli agricoltori ed alla bio diversità.

I danni sono giunti a livello di intollerabilità: nel coltivato (seminativi) come nei prati e pascoli ormai non più utilizzabili senza continue lavorazioni meccaniche, con costi non sostenibili per le aziende e con risarcimenti inadeguati per entità e tardivi nell'erogazione.

Ad un anno dall'abbattimento forzato, le aziende che li hanno subiti (maiali sani) , che ancora oggi non possono allevare, non hanno ancora ricevuto un euro di rimborso.

Il depopolamento dei cinghiali non è mai partito, si parla di 1.500 abbattimenti a fronte dei 38.000 previsti dal piano.

L'invasione però continua con rischi per l'ambiente, per la salute del nostro patrimonio zootecnico e con il rischio di un ulteriore allargamento delle zone infette. Forse non si è pienamente consapevoli che le aree infette confinano con l'Emilia e Lombardia, con il rischio di creare un disastro economico di carattere nazionale per tutta la filiera agro alimentare italiana

Un quadro desolante, dove di percepisce un'inadeguatezza delle azioni poste in atto che assomigliano sempre di più ad enunciati a cui non seguono fatti concreti, dove si sommano le indecisioni della politica, il corporativismo del mondo venatorio, la cecità di un certo mondo animalista.

Assistiamo così a provvedimenti come quelli che gli organi di stampa hanno definito, forse un po' troppo in fretta, "la caccia in città", - e leggendo il provvedimento non è proprio così - che cavalcano l'esasperazione di chi ha perso la speranza che siano finalmente intraprese azioni serie, e continua a subire lo scempio del proprio lavoro.

I danni veri sono in campagna e non in città, dove sussistono altri problemi che vanno affrontati con modalità adeguate e non con soluzioni semplicistiche.

Abbiamo detto e ribadiamo che non è la caccia la soluzione al problema. Servono interventi diversificati, selettivi e soprattutto incisivi, mettendo in atto i mezzi e le risorse che la straordinarietà  della situazione richiede.

Siamo insomma, ormai a un anno dal primo caso, ad un deprimente nulla o poco di fatto.

In un Paese normale chi ha la responsabilità di gestire situazioni come queste, dovrebbe avere la capacità di trarre le conclusioni: se per responsabilità proprie riconoscendo la propria inadeguatezza, se per responsabilità altrui - al fine di salvaguardare il proprio "buon nome" - denunciando limiti ed ostacoli al proprio operare.

Non siamo in un Paese normale e noi non siamo più disposti ad aspettare.

Stefano Roggerone - Presidente Cia Liguria